Attualmente, la popolazione iraniana è di 83.865.000 abitanti, di cui il 97,8% segue la religione islamica, mentre i cristiani rappresentano quasi l’1,6%. Rispetto alla popolazione di lingua e cultura persiana, che in base ai dati del 2014 è di circa 37 milioni, secondo il Center for World Mission gli iraniani di religione cristiana sono 175.000. Molti di questi sono persiani che si sono convertiti al cristianesimo dall’Islam sciita, anche se alcuni potrebbero essersi convertiti dallo zoroastrismo o essere figli di convertiti dall’Islam sciita. Gli armeni e gli assiri appartengono a diversi gruppi e sono quindi esclusi da questo gruppo etnico.
Nel Ventesimo secolo i cristiani in Iran appartenevano principalmente a due minoranze etniche: gli armeni e gli assiri. Si può inoltre ricordare l’attività dei missionari presbiteriani e anglicani che si concentrava soprattutto sui cristiani della Chiesa assira d’Oriente. La situazione per i cristiani iraniani ha conosciuto nuovi sviluppi a seguito della rivoluzione del 1979 e l’instaurazione di un regime teocratico incentrato sulla figura dell’ayatollah Khomeini. I membri delle comunità religiose non sciite – inclusi i musulmani sunniti, i baha’i, gli ebrei e i cristiani – subirono crescenti limitazioni di libertà e diritti. Queste discriminazioni si rivelarono particolarmente penalizzanti per le donne. Da allora, molti appartenenti alle minoranze religiose iraniane sono emigrati verso altri paesi, in particolare verso gli Stati Uniti e l’Europa.
La situazione attuale dei cristiani in Iran è basata sugli articoli 13 e 19 della Costituzione del paese. Nello specifico l’articolo 13 dichiara che “Gli Zoroastriani, gli Ebrei e i Cristiani sono le sole minoranze religiose riconosciute, ed entro i limiti della legge sono liberi di compiere i propri riti e cerimonie religiose, e nei contratti giuridici privati e nell’insegnamento religioso sono liberi di operare secondo le proprie norme”. L’articolo 19 sancisce inoltre che “La popolazione dell’Iran, qualunque sia la sua origine etnica o tribale, gode di uguali diritti: il colore della pelle, la razza, la lingua o altri caratteri non costituiscono motivi di privilegio né di discriminazione”. Nel parlamento iraniano – dove attualmente siedono 290 membri – cinque seggi sono riservati alle minoranze religiose del paese, in particolare gli zoroastriani, gli ebrei e i cristiani di rito assiro, caldeo e armeno.
Nonostante le garanzie di libertà religiosa per i cristiani presenti nel già citato articolo 13, è da notare che in Iran la vendita della Bibbia in lingua farsi non è così tanto semplice. La diffusione dei testi biblici è comunque di fatto impossibile, soprattutto a seguito della chiusura della Iranian Bible Society e la confisca di tutti i suoi beni da parte delle autorità del regime. A questa repressione ha fatto seguito la creazione di una nuova Iranian Bible Society in Diaspora, fondata nel 2015, con un consiglio internazionale di cristiani iraniani.
Al giorno d’oggi, sono poche le chiese cristiane che continuano a praticare le loro attività in lingua persiana. Tra queste si può citare la Jama’at-e Rabbani, ramo iraniano delle “Assemblee di Dio“, una delle più grandi chiese cristiane pentecostali evangeliche. Questa istituzione ha il suo centro principale a Teheran, e negli ultimi anni ha subito diverse chiusure delle sue filiali in tutto il paese. Secondo Elam Ministries, attualmente solo la Chiesa anglicana è stata in grado di officiare servizi di culto pubblico in persiano (a Teheran, Isfahan e Shiraz), a differenza di altre chiese convertite che hanno dovuto chiudere. A differenza della Chiesa anglicana, quella delle “Assemblee di Dio” – la più antica chiesa in lingua persiana in Iran, con sede a Teheran – è stata costretta a interrompere le sue attività di culto nel maggio 2013.
Un altro sviluppo che vale la pena citare è l’emergere delle “chiese domestiche”. È da notare che i cristiani convertiti rischiano di essere perseguitati, poiché secondo la dottrina islamica la conversione dall’Islam a un’altra religione è proibita. I cristiani convertiti iraniani o No Kishane Masihi non possono dunque partecipare alle attività rituali e alle preghiere nelle chiese ufficiali. Proprio per questo motivo si è affermata una rete di “chiese domestiche“: si tratta di piccoli gruppi di cristiani che si riuniscono per pregare in case private, nonostante il governo iraniano abbia dichiarato illegale questo tipo di attività. Anche dopo l’elezione dell’attuale presidente iraniano Hassan Rouhani – considerato un moderato rispetto al suo predecessore Mahmoud Ahmadinejad – la pressione sui convertiti cristiani è continuata. Si stima che almeno due chiese protestanti a Teheran siano state chiuse a seguito dell’elezione di Rouhani nel 2013. Diversi leader iraniani si sono espressi pubblicamente contro le “chiese domestiche” e la comunità cristiana missionaria, paventando il rischio di un’“invasione culturale” sostenuta dai nemici dell’Iran.
Nel 2005 Patrick Johnstone, esperto di demografia del cristianesimo mondiale, ha stimato che in Iran risiedono circa 40.000 cristiani di etnia persiana (esclusi i cristiani di minoranze etniche che vivono in Iran e/o hanno la cittadinanza iraniana) e che quasi tutti questi individui sono convertiti dall’islam sciita. Secondo un’altra fonte il numero raggiunge invece circa centomila unità, con una crescita a partire dal 2010. Questo numero si riferisce specificamente a persone che hanno fatto una confessione di fede alla loro congregazione locale.
Il compito di calcolare il numero preciso di cristiani convertiti in Iran è difficile, soprattutto a causa del fatto che la conversione è un’attività illegale e considerata deviante dalle autorità di Teheran, e può portare anche a una condanna a morte per Ertedad – l’apostasia. Sebbene la conversione al cristianesimo sia considerata un crimine in Iran, essa non è menzionata chiaramente nel codice penale iraniano. Il paragrafo 167 della Costituzione stabilisce però che nei casi in cui una condizione non è coperta dalla legge codificata, il giudice applica la legge islamica tradizionale, la Shari’a.
Si può affermare che le chiese formate da cristiani convertiti siano una realtà nel panorama sociale iraniano. I dati effettivi circa i credenti sono sconosciuti in quanto la segretezza è un sistema di protezione per queste comunità. Tuttavia, sembra possibile affermare che, a seguito della rivoluzione del 1979, e soprattutto negli ultimi anni, questo fenomeno abbia conosciuto una fase di crescita.
Il governo iraniano ha tentato varie strade per ostacolare le conversioni al cristianesimo, come l’obbligo per i cristiani sono di usare lingue diverse dal farsi nelle loro chiese, il divieto di stampa e distribuzione della Bibbia e di altro materiale cristiano in farsi, la sorveglianza delle chiese e di coloro che assistono alle funzioni religiose. La pratica di monitorare la presenza in chiesa ha costretto le congregazioni di origine musulmana di cristiani iraniani a spostare le loro attività nelle case, che si sono rivelate molto più difficili da sorvegliare rispetto agli edifici di culto ufficiali. La pratica della fede cristiana ha dunque fatto crescente ricorso ai programmi satellitari e alle riunioni online, una tendenza che si è peraltro rafforzata durante la crisi sanitaria della determinata dal Covid-19.
In effetti, la rivoluzione delle comunicazioni – in particolare Internet, i canali satellitari e i social media come Instagram e Facebook – ha reso il messaggio cristiano facilmente accessibile agli iraniani, perfino a coloro che non hanno mai nemmeno incontrato un cristiano. Le trasmissioni satellitari cristiane in lingua farsi hanno iniziato a generare un pubblico significativo nel 2000, e i cristiani iraniani della diaspora sono stati attivi nel trasmettere contenuti cristiani agli iraniani ancora nel paese, nonostante le censure e i blocchi all’accesso che il governo iraniano impone. Uno di questi canali satellitari molto frequentati è Mohabat Tv, con i programmi di 24 ore su 24 e live streaming.
Questa ricerca realizzata dal Gamaan, un gruppo di ricerca con sede nei Paesi Bassi, dimostra che la tendenza alla laicità e all’ateismo nella società iraniana ha conosciuto un aumento notevolmente maggiore rispetto al caso dei convertiti cristiani dall’Islam. Questa analisi è confermata dal fatto che solo il 32% degli intervistati si sono identificati come musulmani sciiti mentre, ufficialmente, l’Iran stima il loro numero al 95%. Questi dati mostrano anche quanto la Repubblica islamica ogni anno stia perdendo credenti della fede sciita, nonostante le numerose iniziative volte a favorire l’islamizzazione sciita da parte delle istituzioni pubbliche.
Il Gamaan ha confermato che la popolazione cristiana è “senza dubbio nell’ordine di grandezza di diverse centinaia di migliaia e potrebbe superare il milione”. Stime precedenti avevano indicato la cifra intorno alle 350.000 unità, anche se per decenni molti esperti, comprese le organizzazioni missionarie, hanno creduto che il numero reale fosse molto più alto.
Per quanto riguarda la propaganda religiosa, la stessa ricerca rileva che il 41% della società iraniana ritiene che tutte le religioni dovrebbero essere in grado di promuovere e pubblicizzare la propria fede pubblicamente, mentre circa il 5% si riserva di mantenere questo diritto solo ai musulmani. Il 42% degli intervistati auspica tuttavia che la propaganda di tutte le religioni sia vietata in pubblico.
Le ultime analisi dimostrano che la società iraniana non ha atteso passivamente che la dottrina sciita promossa dalla Repubblica islamica si riformasse o si adattasse alla situazione attuale. Un numero considerevole di persone ha scelto altre alternative spirituali. Varie branche di misticismo legate al “Sufismo” – alcune tradizionali e altre moderne, alcune islamiche e altre no – hanno attirato molti seguaci.
Secondo alcune fonti, come l’agenzia di stampa conservatrice Mashregh, nel 2019 il 90% di coloro che hanno acquistato alberi di Natale a Teheran non sono cristiani. Ad oggi, ogni anno molti iraniani – indipendentemente dalla loro fede – celebrano il Natale, frequentando diversi luoghi che, soprattutto nelle grandi città, trasmettono a pieno un’atmosfera natalizia. A Teheran, per fare un esempio, i quartieri popolati da armeni – come Sana’i, Jam, Villa (rinominata Nejatollahi) e Nader Shah (ora si chiama Mirza-ye Shirazi) a Teheran – prendono vita appena prima della stagione delle feste con luci, decorazioni e fiori. Lo stesso accade a Isfahan, nel quartiere di Jalfa.
Diversi leader iraniani come il presidente, il capo del Parlamento, il ministro degli Esteri e diversi personaggi religiosi celebrano ogni anno il giorno di Natale, commemorando la nascita di Gesù per i cristiani del mondo. Nella religione islamica Gesù è riconosciuto come profeta e figlio di Maria, pertanto la sua nascita viene celebrata anche da parte dei religiosi musulmani.
Shirin Zakeri